Tutto è vanità

Tutto è vanità

OMELIA -  22 settembre 2016

LETTURE: Qo 1, 2-11; Sal 89; Lc 9, 7-9.

 

 

L'unica certezza che abbiamo è che, come tutte le cose create, corporalmente moriremmo, ma non sappiamo quando. Questo ci dicono la prima lettura, perché l'uomo è, come indica il termine ebraico, hebel - radice di Abele, quello assassinato dal fratello -, e significa soffio, alito leggere del respiro, che rapidamente si disperde come il fumo in una giornata di vento. Questo termine è quello che Qohelet usa per indicare che l'uomo è una realtà passeggera di scarsa consistenza, mentre Gesù dice: "Questa notte stressati sarà richiesta la tua vita" per indicare il carattere perituro della nostra vita.

Tutto è vanità questo ci dice Qohelet. Il tema sviluppato ci dice che nella vita umana tutto è vano, perciò gli sforzi dell'uomo per raggiungere la felicità sono inefficaci, rispetto allo scopo da raggiungere. Tutto nel mondo e nella vita è apparenza, inganno, illusione, finisce. Tutto ciò che finisce è nulla, solo Dio e i suoi beni eterni sono le cose durature e che danno felicità.

Il Papa Francesco, con le sue meditazioni, ci aiuta a capire il senso della vanità come realtà mondana.

 “Quanti cristiani vivono per apparire. La vita loro sembra una bolla di sapone. E’ bella la bolla di sapone! Tutti i colori ha! Ma dura un secondo e poi che? Anche quando guardiamo alcuni monumenti funebri, pensiamo che è vanità, perché la verità è tornare alla terra nuda, come diceva il Servo di Dio Paolo VI. Ci aspetta la terra nuda, questa è la nostra verità finale. Nel frattempo, mi vanto o faccio qualcosa? Faccio del bene? Cerco Dio? Prego? Le cose consistenti. E la vanità è bugiarda, è fantasiosa, inganna se stessa, inganna il vanitoso, perché prima fa finta di essere, ma alla fine crede di essere quello, crede. Ci crede. Poveretto!”.

 “La vanità – ha detto il Papa – semina inquietudine cattiva, toglie la pace. E’ come quelle persone che si truccano troppo e poi hanno paura che le prenda la pioggia e tutto quel trucco venga giù”. “Non ci dà pace la vanità – ha ripreso – soltanto la verità ci dà la pace”. Francesco ha dunque ribadito che l’unica roccia su cui possiamo edificare la nostra vita è Gesù. “E pensiamo – ha affermato – a questa proposta del diavolo, del demonio, anche ha tentato Gesù di vanità nel deserto” dicendogli: “Vieni con me, andiamo su al tempio, facciamo lo spettacolo; tu ti butti giù e tutti crederanno in te”. Il demonio aveva presentato a Gesù “la vanità in un vassoio”. La vanità, ha ribadito il Papa, “è una malattia spirituale molto grave”:

“I Padri egiziani del deserto dicevano che la vanità è una tentazione contro la quale dobbiamo lottare tutta la vita, perché sempre ritorna per toglierci la verità. E per far capire questo dicevano: è come la cipolla, tu la prendi e cominci a sfogliare - la cipolla – e sfogli la vanità oggi, un po’ di vanità domani e tutta la vita sfogliando la vanità per vincerla. E alla fine stai contento: ho tolto la vanità, ho sfogliato la cipolla, ma ti rimane l’odore in mano. Chiediamo al Signore la grazia di non essere vanitosi, di essere veri, con la verità della realtà e del Vangelo”.

(http://www.news.va/it/news/il-papa-no-a-cristiani-vanitosi-sono-come-una-boll)

 

Il Papa Francesco, nella prima meditazione rivolta ai sacerdoti, il 2 giugno, nel loro giubileo diceva:  «Dobbiamo situarci qui, nello spazio in cui convivono la nostra miseria più vergognosa e la nostra dignità più alta. Cosa sentiamo quando la gente ci bacia la mano e guardiamo la nostra miseria più intima e siamo onrati dal Popolo di Dio? E lì è un’altra situazione per capire questo, no? Sempre la contraddizione. Dobbiamo situarci qui, nello spazio in cui convivono la nostra miseria più vergognosa e la nostra dignità più alta. Lo stesso spazio. Sporchi, impuri, meschini, vanitosi – è peccato di preti, la vanità - egoisti e, nello stesso tempo, con i piedi lavati, chiamati ed eletti, intenti a distribuire i pani moltiplicati, benedetti dalla nostra gente, amati e curati. Solo la misericordia rende sopportabile quella posizione. Senza di essa o ci crediamo giusti come i farisei o ci allontaniamo come quelli che non si sentono degni. In entrambi i casi ci si indurisce il cuore. O quando ci sentiamo giusti come i farisei o quando ci allontaniamo come quelli che non si sentono degni. Io non mi sento degno, ma non devo allontanarmi. Lì devo essere: nella vergogna con la dignità. Tutte e due insieme!”.  (http://it.radiovaticana.va/news/2016/06/02/giubileo_dei_sacerdoti_prima_meditazione_del_papa/1234209)

 

            Possiamo anche noi interrogarci circa le nostre vanità! Forse saranno poche, alle volte abbiamo caduto nella tentazione, altre volte non abbiamo aiutato i fedeli col nostro esempio.

            Come persone consacrate al Signore cerchiamo di vivere sempre nella semplicità dei nostri atteggiamenti, nella conversione continua, consapevoli che la misericordia divina non ci manca mai.

 

            Il Vangelo

 

Erode Antìpa, figlio di Erode il Grande, vuole vedere Gesù, così come suo padre chiese ai Magi notizie sul bambino che stavano cercando. In entrambi i casi ciò che spinge questi cuori non è il desiderio dell'incontro con il Salvatore ma la paura ed il timore. Adesso, aleggia ancora anche il fantasma di Giovanni Battista. La domanda che si pone Erode, l'ha posta lo stesso Giovanni Battista, tramite la delegazione di due discepoli. Qual'è la differenza tra i due atteggiamenti? Le due intenzioni ed i due metodi?

Giovanni Battista, forse anche a scopo pedagogico affronta apertamente la questione e manda due discepoli direttamente da Gesù, perché potessero ascoltare, in prima persona la sua parola. Erode, invece medita nel turbinio dei sentimenti del suo cuore: in ciò è simile al padre che dimostrò lo stesso timore, lo stesso atteggiamento di chiusura del cuore nel suo incontro con i Magi. Come cerchiamo Gesù, come affrontiamo i nostri dubbi? Con sincerità ed apertura di cuore? Nel vangelo abbiamo molte testimonianze di persone che cercano Gesù per un miracolo, una guarigione, per amore e un tentativo di riscatto della propria esistenza: per ognuna vi è una buona parola, un gesto di accoglienza e per tutti possiamo sentire quello che Gesù dice alla peccatrice: «le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato».

Noi, suoi sacerdoti, siamo configurati al suo Cuore di buon Pastore e abbiamo quale missione annunziare il suo amore misericordioso alla Chiesa e alla società.

Che il Santo Padre Pio, la cui memoria celebreremo domani, ci fortifichi nella nostra vocazione e missione.

 

 

P.Saturino da Costa Gomes, scj